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Accordi prematrimoniali. Il punto di vista della Cassazione.

Accordi prematrimoniali. Il punto di vista della Cassazione.

La Corte di Cassazioneordinanza n. 20415 del 14 luglio 2025 – ha riconosciuto la validità di un accordo patrimoniale stipulato tra coniugi in previsione di una futura crisi matrimoniale. Pur non essendo un “accordo prematrimoniale” (prenuptial agreement) in senso tecnico, esso ne ricalca la funzione, ossia regolare ex ante taluni aspetti economici nell’eventualità di separazione o divorzio. La Suprema Corte, infatti, ha definito tale patto un contratto atipico con condizione sospensiva lecita, espressione dell’autonomia negoziale dei coniugi ai sensi dell’art. 1322 c.c., diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela.
Nel caso di specie, marito e moglie avevano sottoscritto una scrittura privata in cui convenivano talune obbligazioni sub condicione nel caso di futura separazione: il marito riconosceva di dovere alla moglie una somma di denaro quale restituzione di contributi economici da lei apportati in costanza di matrimonio, mentre la moglie si impegnava a rinunciare in favore del coniuge ad alcuni beni mobili di sua proprietà. L’efficacia di tutti questi patti era sospensivamente condizionata al verificarsi di un evento futuro e incerto: la separazione coniugale. Anni dopo, la crisi matrimoniale si è effettivamente verificata e la moglie ha preteso l’adempimento dell’accordo; il marito però ne ha eccepito la nullità, invocando la violazione di norme imperative e principi di ordine pubblico (artt. 143 e 160 c.c.), ossia l’inderogabilità dei doveri coniugali durante il matrimonio.

Sia il Tribunale di Mantova che la Corte d’Appello di Brescia hanno ritenuto valido l’accordo. In particolare, la Corte territoriale ha ricordato che secondo la giurisprudenza di legittimità gli accordi con cui i coniugi regolano i rapporti patrimoniali per il caso di fallimento del matrimonio sono pienamente ammissibili, configurando la crisi coniugale come mera condizione sospensiva apposta al contratto, il tutto quale espressione dell’autonomia negoziale e degli interessi meritevoli di tutela ex art. 1322 c.c. (v. Cass. civ. nn. 23713/2012 e 19304/2013). Nel caso di specie, stipulando ante separazione quella scrittura privata, i coniugi avevano appunto considerato la futura (eventuale) separazione come evento condizionale, così da predeterminare consensualmente alcuni effetti patrimoniali ove tale evento si fosse verificato. I giudici d’appello hanno sottolineato che l’obbligazione di rimborso assunta dal marito mirava, in caso di separazione, a riequilibrare le risorse economiche tra le parti in base ai contributi forniti da ciascuno, senza interferire con i doveri di assistenza morale e materiale nel matrimonio. In altri termini, l’accordo non derogava ai diritti/doveri inderogabili dei coniugi durante la vita matrimoniale (artt. 143 e 160 c.c.), ma prevedeva solo una regolazione patrimoniale post rottura dell’unione – equiparata a un prestito tra coniugi da restituirsi al momento della separazione (cfr. Cass. civ. 19304/2013).

Investita della questione, la Cassazione ha rigettato il ricorso del marito, confermando la validità del patto. Nella sua motivazione, la Corte affronta quello che è stato a lungo un tabù del diritto di famiglia italiano: la liceità dei cosiddetti patti prematrimoniali. Per decenni, infatti, la giurisprudenza aveva dichiarato nulli per illiceità della causa gli accordi tra coniugi volti a predeterminare assetti personali o patrimoniali in vista di separazione o divorzio, ritenendo che tali patti potessero facilitare lo scioglimento del vincolo e, soprattutto, violassero il divieto di disposizione di diritti inderogabili (come l’assegno divorzile). In particolare, si era affermato che è nullo ogni accordo preso in sede di separazione che condizioni gli esiti del futuro ed eventuale divorzio – ad esempio pattuendo rinunce sull’assegno divorzile, considerato per legge indisponibile – poiché ciò limita la libertà di azione e difesa delle parti nel giudizio di divorzio. Tuttavia, la stessa giurisprudenza ammetteva la validità di accordi volti a definire talune controversie economiche insorte tra i coniugi, senza riferimento al futuro divorzio (così già Cass. civ. 8109/2000). Proprio su questo solco, la Cassazione 20415/2025 opera un cambio di prospettiva: il Collegio qualifica il patto in esame non come intesa “sulla separazione” in sé, bensì come un contratto atipico lecitamente condizionato alla separazione. La Corte ha affermato che il fallimento dell’unione coniugale non è la causa del contratto, ma solo il fatto condizionale che ne determina l’efficacia. Ciò consente di sterilizzare il sospetto di illiceità: l’accordo non incentiva la rottura matrimoniale, ma semplicemente ne prende atto come evento possibile, subordinandovi taluni effetti contrattuali. In quanto tale, l’accordo rientra nell’autonomia negoziale privata garantita dall’ordinamento, purché volto a soddisfare interessi meritevoli di tutela. La Cassazione sottolinea come qualunque contratto, anche non tipizzato dalla legge, sia valido se persegue interessi meritevoli di tutela ex art. 1322 c.c.. Nel caso specifico, l’accordo tra i coniugi mirava a regolare in modo ragionato ed equo gli assetti economici reciproci in caso di scioglimento della comunione legale, evitando possibili contenziosi futuri. Viene dunque valorizzata una visione moderna della famiglia, non più come entità inscalfibile sovraordinata agli individui, ma come comunità in cui i singoli membri possono autodeterminarsi anche rispetto agli esiti di una crisi, attraverso pattuizioni consapevoli. Emblematica, a tal proposito, è l’apertura della giurisprudenza anche su profili non patrimoniali: già nel 2014 si era affermato che, fatte salve le inderogabili tutele, i coniugi possono persino concordare anticipatamente aspetti come l’affidamento dei figli e i tempi di visita, materie che tuttavia resteranno soggette al vaglio dell’autorità giudiziaria nell’interesse superiore dei minori (Cass. civ. 18066/2014).

Naturalmente, la Cassazione ribadisce che restano invalide o inefficaci tutte le clausole che incidano su diritti indisponibili o che contrastino con norme imperative. In altri termini, l’autonomia privata incontra un limite invalicabile nei doveri essenziali derivanti dallo status coniugale e nella tutela dei soggetti deboli (in primis, i figli). La stessa ordinanza 20415/2025 lo chiarisce espressamente: rimangono vietati i patti tra coniugi che incidono su diritti inderogabili, ad esempio accordi volti ad eludere l’obbligo di mantenimento o gli obblighi di assistenza morale e materiale durante il matrimonio. Parimenti, qualsiasi intesa riguardante i figli minori dovrà sempre essere sottoposta al controllo del giudice, a garanzia del preminente interesse dei figli stessi. Nel caso in esame, però, tali limiti non erano affatto valicati: l’accordo non disponeva di status personali né prevedeva rinunce ad alimenti o simili, ma si limitava a riconoscere e disciplinare un debito di natura privata tra i coniugi. Su questo punto, la Corte ha osservato che nessuna norma imperativa vieta ai coniugi, prima o durante il matrimonio, di riconoscere l’esistenza di un debito reciproco e subordinare la relativa restituzione all’evento futuro e incerto della separazione.

In conclusione, l’ordinanza della Cassazione n. 20415/2025 segna un’importante evoluzione del diritto di famiglia verso la valorizzazione dell’autonomia negoziale delle parti, anche nella fase patologica del rapporto. Pur rimanendo ancora lontani dai classici prenup di matrice anglosassone, la Cassazione abbraccia una visione più moderna e realistica riconoscendo la possibilità di ricorrere a contratti atipici leciti per comporre gli interessi dei coniugi in previsione della crisi coniugale, nel rispetto dei limiti di legge e dei diritti indisponibili di ciascuno.

  • Giovanna Mazza
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