Nella pronuncia in evidenza la Suprema Corte ha statuito che “Il curatore fallimentare è legittimato ad agire contro la banca per la concessione abusiva di credito, in caso di illecita nuova finanza o di mantenimento dei contratti in corso, che abbia cagionato una diminuzione del patrimonio del soggetto fallito, per il danno diretto all’impresa conseguito al finanziamento e per il pregiudizio all’intero ceto creditorio a causa della perdita della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c.”.
La Corte di legittimità ha, in particolare, distinto il titolo di responsabilità della banca verso l’impresa fallita, qualificandolo di natura contrattuale, da quello nei confronti del ceto creditorio, affermandone la natura aquiliana (ed in quest’ultimo caso anche in forma congiunta con quella degli organi sociali), riconoscendone altresì il possibile concorso.
E’ stata, infine, esclusa la natura abusiva della concessione di credito laddove la banca riesca a dimostrare in giudizio di aver valutato in buona fede di effettuare finanziamenti all’impresa in stato di crisi, anche al di fuori di una soluzione concordata, rispetto alla quale “sussistevano ragionevoli prospettive di risanamento”.
Secondo la Suprema Corte, “in sostanza, sovente il confine tra finanziamento “meritevole’ e finanziamento ‘abusivo’ si fonderà sulla ragionevolezza e fattibilità di un piano aziendale”.
Emerge, in definitiva, l’importanza di una assistenza professionale specialistica sia per l’imprenditore in crisi che voglia ottenere nuova finanza, sia per la banca che, nell’esercizio della sua attività caratteristica, intenda erogare nuovi finanziamenti ovvero mantenere quelli in essere.
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