Ormai lo sappiamo: per continuare a vivere e lavorare legalmente in Regno Unito, a meno di non avere già la cittadinanza Britannica, entro il 31 dicembre 2020 (in caso di No Deal) o il 30 giugno 2021 in caso di ratifica dell’accordo di recesso, bisognerà ottenere il “settled status” (o “pre-settled status” qualora non si risieda in suolo britannico da almeno 5 anni).
La richiesta –sappiamo bene anche questo – andrà fatta attraverso una App (che al momento funziona solo su telefoni Android dotati di tecnologia NFC) attraverso la quale verrà verificata la propria identità, l’assenza di condanne penali rilevanti e la propria residenza continuativa in Gran Bretagna.
Proprio in riferimento alla prova di residenza, però, sono sorti e si teme sorgeranno non pochi problemi: la verifica avviene infatti attraverso un riscontro su altri database governativi, in particolare facenti capo a dipartimenti quali il HMRC (al quale si presenta la propria dichiarazione dei redditi) o il DPW (dipartimento del lavoro e delle pensioni) che incrociano i dati in loro possesso con il National Insurance Number (“NIN”) del richiedente.
Ma cosa succede se dai riscontri risultasse una continuità di residenza inferiore a quella reale? O se per ragioni di diversa natura il sistema non ci trovasse proprio?
E ancora: che ne è di chi non lavora – e non ha mai lavorato in Regno Unito, e dunque non ha il NIN?
La questione in quest’ultimo caso riguarda una grossa fetta della popolazione europea, che va dagli studenti ai minori, dai disoccupati ai coniugi/familiari a carico, giusto per citare le categorie più note.
Appare opportuno sottolineare come il tipo di status che verrà accordato non è una questione semplicemente giuridica ma al contrario in grado di ledere i diritti del richiedente: giusto a titolo di esempio, con il settled status, verificandosi gli altri requisiti, si può richiedere la cittadinanza britannica (subito, se si è sposati con un cittadino britannico, dopo un anno se così non è); con il settled status ci si può assentare dal Paese per periodi prolungati senza perdere la possibilità di rientrare a proprio piacimento: al contrario le assenze prolungate, se si possiede solo il pre-settled status, interrompono la continuità di residenza e potrebbero rendere più difficile rientrare in Regno Unito.
Quali altre prove potranno fornire i cittadini di cui sopra, ricorrendone i requisiti, per dimostrare di avere diritto al settled status e non semplicemente al pre-settled status – che spetta appunto a chi è qui da meno tempo?
Che il sistema non sia infallibile lo sa anche il governo britannico, che ha infatti stilato una lista di possibili documenti di supporto da inviare per giustificare una permanenza più lunga: prove documentali che vanno da estratti conto bancari a lettere del proprio datore di lavoro, da certificazioni di residenza della “care home” nella quale si risiede ad attestati rilasciati dalla scuola/università che si frequenta, e così via. Per una lista più completa: https://www.gov.uk/guidance/eu-settlement-scheme-evidence-of-uk-residence.
Tutto più facile? Ancora una volta bisogna stare attenti: il sistema infatti consente di caricare un massimo di 10 documenti, ciascuno non superiore a 6 MB. Il consiglio è dunque quello di usare documenti che coprano periodi di tempo il più lunghi possibili: estratti conto bancari annuali (e non mensili), una lettera dell’università o della casa di riposo che chiarisca che si è iscritti / residenti presso di loro al momento e fin dalla data del “xx” e così via. A tal proposito, www.freemovement.org.uk ha elaborato due ottimi templateper aiutare ad elaborare queste lettere, ecco i link: Schools template letter, Care homes template letter.
Infine, dicevamo in apertura che i casi in cui il controllo potrebbe rivelarsi poco efficace non riguardano esclusivamente le cosiddette “categorie a rischio” di cui sopra, ma anche cittadini che per semplici errori del sistema o mancanza di dati risultino invisibili ai controlli: è successo anche ad un cittadino italiano residente da lungo tempo in Regno Unito, per il quale l’Home Office non è riuscito a confermare l’identità nonostante lo stesso avesse fornito il proprio NIN. I motivi del diniego non gli sono stati chiariti (non è previsto), gli è però stato richiesto di fornire ulteriore documentazione, la pratica è quindi andata a buon fine e il nostro amico ha ora il settled status.
Ma perché il sistema non lo aveva riconosciuto? Sembra che il problema fosse tutto in un accento, presente nel suo cognome (come in tanti cognomi italiani) ma non contemplato dal sistema, che quindi non lo trovava.
Il consiglio è quello di stare molto attenti e se in dubbio verificare i propri dati prima di iniziare la pratica di richiesta, e comunque essere pronti a fornire la documentazione di supporto. Inoltre si può telefonare a un apposito customer service governativo per avere delucidazioni.
Il diavolo, si sa, è spesso nei dettagli: l’amico di cui sopra ha si ottenuto il settled status, ma al momento è intestato ad un residente senza accento: forse in futuro, gli hanno confermato dopo numerose telefonate, potrà correggerlo, ma al momento the computer says no…