Illustriamo di seguito le modifiche intervenute nel corso del 2017 (prima con il decreto 26 maggio 2017 e successivamente con la legge di bilancio del 27 dicembre 2017) al regime dei dividendi e dei capital gain.
Decreto ministeriale 26 maggio 2017
Il Decreto in commento si è limitato a modificare in aumento le percentuali di partecipazione dei dividendi e capital gain al reddito delle persone fisiche relativamente alle sole partecipazioni qualificate non detenute nell’esercizio di impresa (per le non qualificate rimane in vigore la tassazione del 26%).
La modifica in aumento riguarda solo quanto esplicitato sub lettera C) riportata di seguito. Le precedenti percentuali (sub A e B) rimangono invariate rispetto alla normativa già in essere.
DIVIDENDI (art. 1)
CAPITAL GAIN (art. 2)
A differenza di quanto avviene per i dividendi, la nuova percentuale di imponibilità del 58,14% si applica alle plusvalenze realizzate a partire dal 1° gennaio 2018.
Resta ferma la percentuale di imponibilità del 49,72% per le plusvalenze derivanti da atti di realizzo posti in essere anteriormente all’1 gennaio 2018 ma i cui corrispettivi siano in tutto o in parte percepiti a decorrere dalla stessa data.
Legge di bilancio 2018 – Legge n. 205 del 27 dicembre 2017
La legge di bilancio 2018 ha provveduto ad uniformare la tassazione dei dividendi e dei capital gain eliminando la differenza tra partecipazione qualificata e non qualificata. In particolare, le predette componenti reddituali relative alle partecipazioni qualificate sconteranno la ritenuta a titolo d’imposta (dividendi) o l’imposta sostitutiva (plusvalenze) nella stessa misura del 26%, già in vigore per quelle relative alle partecipazioni non qualificate.
DIVIDENDI
La novità si applica ai dividendi percepiti a partire dall’1 gennaio 2018 (art. 1, comma 1005 della L. 205/2017).
Tuttavia, il comma 1006 della legge di bilancio introduce una deroga a quanto appena scritto stabilendo che per i dividendi prodotti nei periodi d’imposta fino al 31.12.2017 e deliberati fino al 31 dicembre 2022 (quindi percepiti in data successiva al 01.01.2018), continueranno ad applicarsi le regole del DM 26 maggio 2017 (vedi, quindi, i punti 1. 2. 3.).
La deroga introduce quindi una norma transitoria volta a salvaguardare il trattamento previsto dalla disciplina precedente per un determinato lasso temporale.
In definitiva, pertanto, e salvo casi che si ritengono residuali, il nuovo regime della ritenuta al 26% si applicherà generalmente ai dividendi prodotti (e non solo “percepiti” come invece recita la norma) a partire dal 01.01.2018. Il caso residuale si può verificare nel momento in cui vengano deliberati successivamente al 2022 dividendi prodotti anteriormente al 2018 (ad es. nel 2017). In questo caso la norma transitoria non troverebbe applicazione e quindi anche a tali dividendi (prodotti prima del 2018) sarebbe applicabile la ritenuta del 26%.
Comparazione dei regimi ante e post riforma
Ante riforma Post riforma
Dividendo 100 Dividendo 100
Imponibile IRPEF 58,14
Imposta 25 (58,14 x 43%[1]) Ritenuta 26
23,093 (58,14 x 38%[2])
Dividendo netto 75 – 76,907 Dividendo netto 74
Se si calcolassero le addizionali regionali e comunali in misura pari al 2% (calcolo molto approssimativo) si avrebbe che nel caso di aliquota marginale (43%) il livello di tassazione risulterebbe assai simile anche a seguito dell’introduzione della ritenuta del 26%. Non così, invece, per gli scaglioni di reddito inferiori.
Da questi esempi si evince che la riforma colpisce maggiormente i redditi medio bassi la cui tassazione aumenta considerevolmente per effetto del nuovo regime.
CAPITAL GAIN
La novità (l’imposta sostitutiva del 26%) si applica alle plusvalenze realizzate a partire dall’1 gennaio 2019(art. 1, comma 1005 della L. 205/2017).
Anche in questo caso si assiste ad uno sfasamento temporale nell’applicazione della normativa rispetto a quanto previsto per i dividendi.
DIVIDENDI ESTERI
Prima della modifica contenuta nella legge di bilancio i dividendi distribuiti da soggetti residenti in Stati o territori non black list erano tassati come di seguito indicato:
Entrambe le suddette ritenute erano applicate sul c.d. “netto frontiera”.
Fatta questa premessa, la Legge di stabilità 2018 (comma 1003, lettera b) ha omogeneizzato il livello di imposizione sia per le partecipazioni qualificate che per quelle non qualificate, prevedendo in entrambi i casi l’applicazione della ritenuta alla fonte a titolo d’imposta del 26% sul netto a frontiera a partire dal 1° gennaio 2018.
Comparazione dei regimi ante e post riforma
Ante riforma Post riforma
Dividendo 100 100
Ritenuta convenzionale 10 ([3]) 10
Netto a frontiera 90 90
Ritenuta a titolo di acconto 13,60 [(90 x 58,14) x 26%)] 23,4 (90 x 26%) a titolo d’imposta
Imponibile IRPEF 58,14 (100 x 58,14%)
Imposta 25 (58,14 x 43%[4])
Scomputo ritenuta acc. 11,4 (25 – 13,60)
Credito di imposta 5,814 (10 x 58,14%)
Imposta netta 5,586 (11,4 – 5,814) 23,4
Dividendo netto 70,814 (90 – 13,60 – 5,586) 66.6
In questo caso, a differenza dei dividendi “nazionali” la riforma incide negativamente anche per i redditi medio alti in conseguenza del mancato riconoscimento del credito d’imposta e non prevede alcuna norma transitoria (si presume per le oggettive difficoltà di verificare la stratificazione degli utili presso soggetti non residenti).
DIVIDENDI ESTERI: Brevi riflessioni alla luce delle convenzioni contro le doppie imposizioni e dei principi della carta UE
A prima vista la modifica in peius del regime tributario potrebbe sembrare in contrasto con le disposizioni volte ad eliminare fenomeni di doppia imposizione contenute nelle convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dal nostro Paese.
Infatti, la previsione contenuta nell’articolo 23 del Modello OCSE di convenzione (trasposta nelle convenzioni stipulate dall’Italia) stabilisce che, quando un reddito viene tassato sia nel Paese della fonte che in quello di residenza del percettore, quest’ultimo ha la possibilità di eliminare tale doppia imposizione (o ridurla) facendo ricorso a due metodi: quello dell’esenzione o quello del credito d’imposta.
Nel caso dei dividendi percepiti da una persona fisica residente nel nostro Paese, fino alla riforma e in relazione a dividendi derivanti da una partecipazione qualificata, il metodo utilizzato era quello del credito d’imposta consentendo il recupero (totale o parziale) della ritenuta scontata all’estero secondo quanto stabilito dall’articolo 165 del TUIR.
Con la riforma questa possibilità viene meno in quanto il dividendo viene tassato con una ritenuta a titolo d’imposta netto frontiera e quindi non concorre a formare il reddito complessivo del percettore e le stesse convenzioni sopra citate generalmente stabiliscono che “nessuna deduzione [della imposta estera] sarà accordata ove l’elemento di reddito venga assoggettato in Italia ad imposizione mediante ritenuta a titolo d’imposta su richiesta del beneficiario del reddito in base alla legislazione italiana” (disposizione generalmente contenuta nell’articolo che traspone nella convenzione l’articolo 23 del Modello Ocse sopra citata [5]).
In definitiva, sono le stesse convenzioni ad escludere la possibilità di godere del credito d’imposta per le imposte (ritenute) scontate nel paese della fonte dei dividendi nel caso in cui questi ultimi siano assoggettati a ritenuta a titolo d’imposta in Italia.
In merito ai principi di libera circolazione dei capitali e delle persone stabiliti nella carta UE (invocati in passato per correggere norme che stabilivano la tassazione dei dividendi [6]), si deve rilevare che questi divengono applicabili allorché le norme fiscali creano ostacoli appunto alla circolazione nell’ambito comunitario e, soprattutto, creano ostacoli discriminando tra soggetti residenti e non residenti (mi sono occupato di un caso importante in passato e sono a disposizione se volete maggiori informazioni sul punto).
Nel caso in questione, in primis la modifica riguarda soltanto persone fisiche residenti nel nostro Paese e pertanto non discrimina a danno di soggetti comunitari. Inoltre, la riforma è tesa ad uniformare il regime dei redditi derivanti da partecipazioni qualificate con quelli delle partecipazioni non qualificate, già in vigore da tempo.
Pertanto, è difficile sostenere che la riforma crei ex novo un ostacolo alla libera circolazione dei capitali in quanto si uniforma a quanto già in precedenza esistente e, da un certo punto di vista, si può dire che semplifica la normativa evitando disparità di trattamento tra detentori di partecipazioni qualificate e non qualificate.
Sul punto ci si riserva di svolgere ulteriori riflessioni.
[1] Aliquota massima applicabile ai redditi sopra Euro 75.000,00. A questa aliquota si devono sommare le addizionali regionali e comunali
[2] Aliquota applicabile ai redditi oltre i 28.000,00 fino ai 55.000,00 (anche in questo caso vanno aggiunte le addizionali di cui sopra)
[3] Si assume una percentuale del 10% per semplicità. Ovviamente le ritenute variano a seconda del Paese di residenza della società che distribuisce il dividendo.
[4] Aliquota massima applicabile ai redditi sopra Euro 75.000,00. A questa aliquota si devono sommare le addizionali regionali e comunali
[5] Sul punto si veda la convenzione con il Regno Unito, la svizzera, il Lussemburgo etc.
[6] Si fa riferimento in particolare alla ritenuta operata sugli utili corrisposti a società comunitarie (articolo 27, comma 3-ter del D.p.R 29 settembre 1973, n. 600)
di Stefano Serbini