La sentenza n. 8130, emessa lo scorso 8 febbraio e pubblicata il 22 aprile, riguarda una controversia sorta tra una società marchigiana e l’Agenzia delle Entrate e che ha ad oggetto principalmente la deducibilità di costi riguardanti prestazioni di servizi per i quali l’Amministrazione finanziaria aveva ritenuto configurabile, nella fattispecie in esame, la norma sul transfer pricing.
Il requisito soggettivo ai fini dell’applicazione della disciplina sul transfer pricing è contenuto testualmente nell’articolo 110, comma 7, del Tuir, ossia: “I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono valutati in base al valore normale (…)”. La Sentenza in commento, infatti, osserva che “Fondamentale per l’applicazione della disciplina in esame è, dunque, il fatto che l’operazione sia posta in essere tra imprese in rapporto di controllo.”
La controversia, rimessa al giudizio della suprema Corte, era sorta e riguardava proprio a la definizione di “rapporto di controllo”, non dando la norma primaria riferimenti puntuali o rimandi normativi di ausilio.
La Società sosteneva la tesi che “(…) benché la norma del testo unico non richiami espressamente l’art. 2359 cod. civ., la nozione di controllo cui essa fa riferimento debba da quest’ultima comunque desumersi (…)”. L’Ufficio dell’Agenzia riteneva invece che la normativa fiscale, rispetto alla nozione civilistica di controllo societario ex art. 2359 cod. civ., “postulasse un più ampio concetto di controllo.” Tale posizione è anche contenuta nella circolare del ministero delle Finanze n. 32/1980.
La Suprema Corte condivide la tesi estensiva per “ragioni di carattere testuale e soprattutto teleologiche, legate allo scopo antielusivo della norma fiscale”.
In merito all’aspetto testuale si osserva che “Manca dunque una nozione generale di controllo, ai fini fiscali, a cui riferirsi e, d’altro canto, lo stesso non sempre integrale richiamo all’art. 2359 cod. civ. , le volte in cui a questo il legislatore fa esplicito rinvio, impediscono di considerarlo quale sicuro riferimento sussidiario.” A margine, la Corte osserva anche che la norma sul trasfer pricing si applica ad “imprese” in rapporto di controllo e tale requisito risulterebbe più ampio e comprensivo rispetto al concetto di controllo quale definito dall’art. 2359 cod. civ. facendo invece riferimento esclusivo a rapporti tra due o più società.
Per la finalità poi della norma fiscale, sempre secondo la Corte, vi è l’esigenza di garantire alla stessa “un tasso di elasticità che renda capace di attagliarsi alle varie ipotesi in cui, indipendentemente dalla ricorrenza dei rigidi requisiti civilistici, possa apprezzarsi l’influenza di un’impresa sulle decisioni imprenditoriali di un’ultra.”. Nel caso specifico in esame, i supremi Giudici hanno riconosciuto quale circostanza sintomatica di influenza “la vendita di prodotti fabbricati dall’altra impresa e l’impossibilità di funzionamento dell’impresa senza il capitale, i prodotti e la cooperazione dell’altra.”
In definitiva, anche alle alla luce della recente Sentenza in commento, emerge l’importanza di valutare attentamente i rapporti di controllo anche “di fatto” posti in essere tra impresa italiana e controparte estera dato che le relative ed eventuali transazioni potrebbero ricadere nell’ambito applicativo della normativa del transfer pricing.