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Brexit e mercato dell’arte

Brexit e mercato dell’arte
La Brexit, ossia l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, sta riverberando i propri effetti nei vari ambiti, non da ultimo il mercato dell’arte.

Dopo New York, Londra è da sempre la piazza più importante a livello mondiale, considerata il secondo mercato artistico più ricco. Il giro di affari per il 2019 è stato stimato in $12,7 miliardi di vendite (fonte: Art Basel and UBS Global Art Market Report). Molti collezionisti di opere d’arte di grande valore hanno riportato la loro arte nel continente prima che il Regno Unito lasciasse il mercato unico dell’Unione europea. Capolavori di artisti come Henri Matisse e Lucio Fontana erano tra le opere sui camion che cercavano di attraversare la Manica prima della fine dell’anno, insieme a milioni di dollari di altre opere d’arte. Prima del 31 dicembre, le opere d’arte potevano, come tutte le altre merci, circolare liberamente tra l’Unione europea ed il Regno Unito con restrizioni minime e senza gravose procedure fiscali e doganali. Alla fine del periodo di transizione della Brexit, le gallerie ed i collezionisti di Londra si sono trovati davanti ad un’ardua decisione: restare nel Regno Unito o spedire le loro opere nell’Unione europea prima della scadenza. Molti hanno deciso che quest’ultima sarebbe stata la scommessa migliore.

Ma qual è il rischio per il mercante d’arte? Certamente l’ipotesi della previsione di dazi doganali al momento dell’esportazione delle opere nel Continente è un’ipotesi che non lascia indifferenti gli operatori del settore. Le gallerie ed i commercianti di medie dimensioni che regolarmente operavano con collezionisti europei hanno subito maggiormente il colpo. Non è agevole stimare il numero complessivo di opere rientrate nel Continente, ma si presume che lo stesso assume dimensioni rilevanti, con aumenti di richieste di tal senso alle ditte specializzate incrementate di circa il 75% rispetto all’anno precedente.

A fronte di ciò, tuttavia, gli esperti del settore sostengono che l’impatto della Brexit sarà limitato, in particolare nella fascia alta del mercato in cui aziende globali come le grandi case d’asta londinesi amplieranno le procedure già adoperate per le transazioni extra UE. “Più si sale in alto in questo mercato, più diventa globale” ha affermato Anthony Browne, presidente della British Art Market Federation “sono le gallerie e i rivenditori più piccoli e quelli di fascia media con acquirenti nell’UE che saranno maggiormente colpiti”.

Cosa succederà al mercato londinese?

Londra, dunque, si prepara a non essere più il punto di riferimento per l’importazione di opere d’arte nell’ambito dell’UE? Grazie ad una tassazione sull’importazione di beni artistici da paesi extra-europei pari al 5% del valore complessivo dell’opera, la più bassa nel rispetto dalle norme dell’UE, Londra ha sempre rappresentato un canale preferenziale per l’acquisizione di opere d’arte da parte dei collezionisti europei. Ciò in quanto gli scambi di opere d’arte tra gli Stati membri dell’UE sono esenti da tassazione (Import e export). Parigi, con una tassazione del 5.5%, già si presenta come la principale antagonista all’egemonia londinese. L’aliquota del 5%, seppur la più bassa consentita, non era tuttavia paragonabile con quella applicata dal suo principale antagonista, gli Stati Uniti, di fatto pari allo 0%, o da un altro colosso del mercato dell’arte internazionale, la Cina, con un’aliquota pari al 3%.

Il primo gennaio 2021, giorno in cui il Regno Unito ha lasciato l’UE, la Francia ha innalzato i valori soglia ai quali sono richiesti i “passaporti” di esportazione a 300.000 euro per i dipinti di età superiore a 50 anni e a 100.000 euro per le sculture. Questi certificati e la loro lenta amministrazione hanno ostacolato il mercato anche se i valori sono ancora bassi se la Francia vuole davvero riprendersi parte del commercio del Regno Unito. “Parigi ha già l’infrastruttura, la logistica, il know-how e inoltre è centralizzata, mentre la Germania ha un certo numero di centri regionali più la sua restrittiva legge sulle esportazioni; L’Italia ha una terribile Burocrazia”, afferma Pierre Naquin, imprenditore francese e specialista fiscale; “Non vedo nessun’altra città europea in grado di prendere il posto di Londra”. Clare McAndrew, economista e guru del mercato dell’arte per eccellenza, vede la situazione in modo piuttosto diverso. “Certamente, Parigi ha un’opportunità per il commercio europea ora, tuttavia la gente presume che il commercio andrà lì dopo la Brexit” afferma; “Ma il pericolo è che gli spedizionieri evitino completamente l’UE” (Fonte: Bloomberg). Il che significa che la Francia non dovrebbe ancora gridare vittoria.

Ciò che certamente desta maggiori preoccupazioni è la perdita dello status commerciale intracomunitario della Gran Bretagna e, dunque, la possibilità di beneficiare della libera circolazione delle merci nel mercato unico. In concreto, si evitavano le laboriose procedure di sdoganamento e l’applicazione di dazi e tasse di importazione. Sono alte le probabilità che i processi burocratici legati all’import/export saranno più lunghi e complessi, incidendo sui tempi e sui costi delle operazioni di scambio.

Un’opportunità per l’Italia?

Come detto, a livello fiscale, uno dei grandi vantaggi della Gran Bretagna era l’applicazione di un’aliquota IVA del 5% per l’importazione di opere d’arte di provenienza extra UE. In questo scenario l’Italia, che applica un’aliquota al 10%, la più alta in Europa assieme alla Spagna, é nettamente svantaggiata. Per provare ad essere maggiormente competitivi, ora che l’attore principale sembra uscire di scena, una mossa vincente potrebbe essere la riduzione dell’aliquota al 5% in modo da stimolare l’utilizzo dell’Italia come hub alternativo alla Francia.

  • Alessandro Belluzzo
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