Il caso specifico – pur all’interno di un complesso e articolato processo di riorganizzazione – è riconducibile al fatto che un padre lascia il 100% del diritto di nuda proprietà con diritto di voto ai tre figli che assumono, con “apposita dichiarazione” in comunione l’impegno a mantenere il controllo della società di capitali (holding di famiglia). Il padre si riserva il diritto di usufrutto pur senza il diritto di voto. L’istante precisa che il trasferimento delle partecipazioni della società holding avverrà tramite l’istituto del patto di famiglia (art. 768-bis e seguenti c.c.).
Con la Circolare del 22 gennaio 2008, n. 3/E e successivi documenti di prassi (circolare del 16 febbraio 2007, n. 11, risoluzione del 26 luglio 2010, n. 75), l’Agenzia delle Entrate ha fornito istruzioni in ordine all’ambito applicativo della riportata disposizione, nonché alle condizioni richieste dalla norma per l’accesso al regime agevolativo. In tema, nella Risposta in esame viene pertanto smarcato sia il requisito necessario del trasferimento del controllo (diritto di voto) che il tema della comproprietà (comunione). La Risposta, e questa è di per sé una novità, richiama esplicitamente la sentenza 23 giugno 2020 n. 120 della Corte Costituzionale, già oggetto di precedenti commenti nei nostri Focus Alert e Webinar Belluzzo International Partners.
Per il Fisco, ciò che assume cardinale importanza “è la necessaria ed indispensabile presenza dell’oggetto principale della disposizione agevolativa in esame, vale a dire la sussistenza di un’azienda di famiglia, intesa quale realtà imprenditoriale produttiva meritevole di essere tutelata anche nella fase del suo passaggio generazionale, anche per evitare “una conseguente perdita dei posti di lavoro e ulteriori ripercussioni sul tessuto economico”. Di contro, ne deriva che in assenza di una “azienda”, l’applicazione dell’agevolazione de qua violerebbe la ratio della disposizione medesima.”
Il Fisco ammette nella Risposta che per “coerenza sistematica (…)anche i trasferimenti di partecipazioni di società che detengono il controllo dell’attività d’impresa possono fruire dell’esenzione in parola, poiché consentono al beneficiario della donazione di continuare a detenere, seppur indirettamente, il controllo dell’azienda familiare.” Il medesimo principio è ovviamente estensibile anche al caso di partecipazioni in società diverse da quelle di capitali, tema non trattato dato che l’interpello non le menzionava. Si ricorda che per le società non di capitali il tema del controllo non è un presupposto applicativo.
Per il Fisco “l’Istante, anche a seguito delle operazioni straordinarie che caratterizzano la descritta riorganizzazione del gruppo, continua a ricoprire, seppur indirettamente (attraverso la PF Holding unipersonale), il ruolo di socio di minoranza rispetto alla società operativa di famiglia ALFA S.p.A. Pertanto, anche i figli aventi causa dell’atto di donazione delle quote della PF Holding non potranno soddisfare il requisito del controllo (seppur indiretto) della ALFA S.p.A.”.
Su questa base il Fisco nega che sussistano le condizioni applicative della citata disposizione agevolativa.
La Risposta è particolarmente interessante, dal momento che per la prima volta il Fisco si ricollega al dettato della Corte Costituzionale. In prima battuta si prevede un forte dibattito sia di dottrina che di applicazione pratica. In effetti, chi scrive non ha mai mancato – sin dalle prime pubblicazioni sul tema– di sottolineare il richiamo normativo all’”azienda”, considerata nella sua forma diretta e indiretta. Non stupisce dunque più di tanto il richiamo da parte del Fisco ai principi dettati dalla Corte Costituzionale ed in particolare “l’esigenza di garantire la continuità aziendale”. Il Fisco nella Risposta in esame chiarisce molto bene il proprio pensiero (anche di sintesi dei principi promulgati dalla Corte Costituzionale) evidenziando che “Ciò che merita rilievo, quindi, è la necessaria ed indispensabile presenza dell’oggetto principale della disposizione agevolativa in esame, vale a dire la sussistenza di un’azienda di famiglia, intesa quale realtà imprenditoriale produttiva meritevole di essere tutelata anche nella fase del suo passaggio generazionale, anche per evitare “una conseguente perdita dei posti di lavoro e ulteriori ripercussioni sul tessuto economico”.
Lasciando ad altri luoghi ogni approfondimento dottrinale, quel che qui rileva è il diniego posto dal Fisco sul principio che la partecipazione societaria, a pieno titolo inserita nel dettato normativo dell’art. 3, co. 4-ter, TUS, vada valutata anche essa in correlazione diretta o indiretta alla “azienda” (nella sua definizione astratta di complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’attività d’impresa).
Per il Fisco non pare sufficiente il controllo di una società holding il cui unico asset è la partecipazione (di minoranza) in una Holding il cui unico asset è la partecipazione di controllo in una Società per Azioni holding capogruppo di un gruppo industriale. Per il Fisco è necessario il controllo (seppur indiretto) della holding capogruppo e non pare rientrare nelle fattispecie agevolative la mera procastinazione del ruolo di azionisti di minoranza.
Insomma molto materiale su cui riflette, (per fortuna) molto in linea con i principi e le linee guida che da sempre hanno caratterizzato l’attività di consulenza in operazioni straordinarie e in pianificazione patrimoniale e successoria di chi scrive.