Il cuore della novità sta nel riconoscimento, ai fini del calcolo dell’“effective tax rate” della partecipata non residente, della quota di imposta minima nazionale equivalente (QDMTT) effettivamente attribuita alla società estera. Rispetto alla versione varata pochi mesi fa, non sarà più necessario ricostruire la ripartizione sulla base dei “profitti eccedenti” di tutte le entità del gruppo localizzate nella stessa giurisdizione; basterà applicare il criterio stabilito dalla legislazione locale, limitandosi a un criterio proporzionale sui redditi rilevanti solo se la giurisdizione non prevede regole proprie. Con questa mossa il decreto alleggerisce una delle complessità più discusse dai gruppi multinazionali nel primo anno di convivenza con la GMT: si evita un doppio calcolo domestico-estero e, soprattutto, si preserva la segregazione di entità richiesta dalle Model Rules OCSE, riducendo il rischio che la stessa QDMTT venga “spacchettata” diversamente a fini italiani rispetto a quelli globali.
In parallelo il nuovo comma 4-ter ripropone – ma con una veste molto più essenziale – l’opzione che consente alla capogruppo di soddisfare il test di adeguata tassazione attraverso il versamento di un importo pari al 15 per cento dell’utile contabile netto della controllata, calcolato al netto di imposte, svalutazioni e accantonamenti a fondi rischi o oneri. Il pagamento, indeducibile da IRES e IRAP, vale per tre esercizi e si rinnova tacitamente salvo revoca; soprattutto deve riguardare tutte le CFC del gruppo che ricadono nella disciplina. Non è un’imposta sostitutiva – chiarisce la relazione illustrativa – ma un meccanismo di “safe harbour” operativo: in cambio di un esborso certo e misurabile sul bilancio estero, il contribuente evita l’analisi puntuale dell’ETR e mette al riparo i dividendi da future contestazioni di black-list.
Il decreto ritocca poi i raccordi con l’interpello disapplicativo (il rinvio corretto è ora alla lettera e) dell’art. 11 L. 212/2000) e consente di detrarre, nei limiti dell’art. 165 TUIR, anche l’imposta minima nazionale equivalente imputata alla controllata estera: un coordinamento indispensabile per evitare che la stessa QDMTT diventi un costo non creditabile in Italia, andando a neutralizzare il beneficio della nuova rilevanza nell’ETR.
Sul piano temporale le disposizioni si applicano dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 29 dicembre 2023, il che significa che per i soggetti con esercizio solare l’effetto è retroattivo al 2024: servirà quindi chiarire se chi ha già chiuso i calcoli ETR debba rettificare la posizione o potrà limitarsi a recepire le nuove regole in dichiarazione. In ogni caso, l’Agenzia delle Entrate dovrà emanare in tempi rapidi il provvedimento con cui fissare modalità e termini di esercizio o revoca dell’opzione 15 per cento per non rischiare di lasciare i contribuenti senza indicazioni proprio nell’anno di prima applicazione.
A conti fatti la riforma si muove lungo due assi complementari: semplificare la determinazione dell’aliquota effettiva quando la QDMTT esiste e offrire una via forfetaria – costosa ma certa – quando il gruppo preferisce evitare analisi complesse o teme sbavature nei dati esteri. Il bilancio costi-benefici, però, non è neutro: l’indeducibilità del versamento può pesare sui margini di chi opera in settori a bassa redditività, mentre la durata triennale obbliga a proiezioni a medio termine. Per questo le imprese sono chiamate, fin d’ora, a rimappare la propria esposizione CFC alla luce dei criteri di allocazione locali della QDMTT, simulare l’impatto finanziario del 15 per cento e ridefinire i flussi di reporting verso la capogruppo. Solo così potranno decidere se abbracciare il nuovo safe harbour o restare sulla via – più onerosa in termini di compliance – del calcolo analitico dell’ETR, con la certezza che il perimetro regolatorio della fiscalità internazionale continua a muoversi, e in fretta.
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