La sentenza conferma l’interpretazione per cui la condizione di iscrizione all’AIRE è necessaria ma non sufficiente per i cittadini italiani che spostano la residenza all’estero (art. 2 Tuir). Elementi di forma si uniscono pertanto ad elementi di sostanza, rendendo ancora più evidente come anche atti apparentemente semplici e incontestabili (nel caso specifico lo spostamento in Brasile) devono essere ben pianificati per evitare di uscire dalla piena compliance fiscale.
Il contenzioso nasceva con quattro avvisi di accertamento per gli anni di imposta 2007-2010 con i quali l’ufficio aveva contestato l’esistenza di attività finanziarie non dichiarate in paesi a fiscalità privilegiata recuperando a tassazione l’Irpef ed irrogando le sanzioni di legge. Secondo i giudici dell’appello il contribuente aveva provato la sua residenza in Brasile “dal 2007 con la conseguente invalidità delle contestazioni relative agli anni 2008, 2009 e 2010”.
Nel ricorso l’Amministrazione Finanziaria aveva obiettato che, siccome la cancellazione della popolazione residente nel comune di Torino e la contestuale iscrizione all’AIRE era avvenuta solo nel 2011, per gli anni precedenti la Ctr aveva errato nel non riconoscere la soggettività fiscale italiana del contribuente.
La Suprema Corte evidenzia come il Tuir (art. 2, co, 2) recita: “ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residenti e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale” affermando come in Italia i tre presupposti qualificanti la residenza fiscale in Italia sono tra loro assolutamente alternativi “come si desume dall’utilizzo della congiunzione «o»: il primo, formale, rappresentato dall’iscrizione nelle anagrafi delle popolazioni residenti, gli altri due, di fatto, costituiti dalla residenza o dal domicilio nello Stato ai sensi del codice civile”.