La Commissione europea ha chiuso il dossier avviato su segnalazione dell’Aidc in materia di Controlled Foreign Companies (CFC), concludendo la procedura in senso favorevole ai contribuenti. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) ha chiarito che non è ammissibile un rigetto “automatico” delle prove addotte dal contribuente: l’Amministrazione finanziaria, infatti, deve effettuare un’indagine fattuale per accertare se i redditi esteri siano effettivamente volti all’elusione o se, invece, esista una reale attività economica.
Nell’ambito della disciplina CFC, l’articolo 167, comma 5, del TUIR prevede che la tassazione per trasparenza non trovi applicazione qualora il contribuente dimostri la presenza di un’effettiva organizzazione economica all’estero (personale, attrezzature, attivi e locali). In altre parole, il soggetto residente è chiamato a fornire prova della sostanza economica del soggetto non residente, pena l’automatica imputazione dei relativi redditi.
Tale meccanismo, di fatto, comporta un’inversione dell’onere della prova, poiché è il contribuente a doversi attivare per documentare la legittimità dell’operazione. Se il contribuente aderisce al regime dell’adempimento collaborativo, la normativa consente una forma semplificata di interpello, richiedendo direttamente all’Agenzia delle Entrate un riscontro preventivo sulle condizioni di effettiva operatività della società estera.
Dopo otto anni, la Commissione europea ha terminato l’analisi del caso segnalato dall’Aidc. Contestualmente, il MEF ha ribadito che non è possibile basare i controlli su meri automatismi, sottolineando l’obbligo di esaminare nel dettaglio le prove fornite dal contribuente.
In sintesi, per avviare una contestazione fondata, l’Amministrazione finanziaria deve valutare la reale sussistenza di un’attività economica e non può procedere a un diniego “a tavolino”. Questo approccio risponde a un indirizzo ormai consolidato, secondo cui l’analisi deve sempre tenere conto degli aspetti sostanziali, limitando l’uso di presunzioni generiche.
Le implicazioni operative di tale approccio comportano, da un lato che l’Amministrazione sia tenuta esaminare la reale operatività delle società estere, senza presunzioni meramente formali; dall’altro, che il contribuente che detenga partecipazioni in società estere debba predisporre una documentazione completa a supporto dell’effettiva attività economica (personale, sedi, attrezzature).
La recente chiusura dell’indagine comunitaria e la posizione del MEF confermano l’importanza di un’attenta analisi dei fatti nella disciplina CFC. Non si applica un’inversione dell’onere della prova: se, infatti, è il contribuente a dover fornire le evidenze dell’operatività estera, spetta all’Amministrazione l’onere di vagliare queste informazioni in modo concreto.
Il nostro Studio, grazie a un team specializzato in fiscalità internazionale, resta a disposizione per chiarimenti, predisposizione della documentazione necessaria e assistenza nelle procedure di interpello, favorendo un confronto costruttivo con l’Amministrazione finanziaria.