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Brexit: è possibile un secondo referendum?

Brexit: è possibile un secondo referendum?

di Manuela Travaglini, avvocato, consulente di Belluzzo International Partners e blogger di The Italian Community. Anche sul blog di Enrico Franceschini su la Repubblica  ‘Gli Italiani e la Brexit, l’esperto risponde‘.

 

Sabato 20 ottobre sono scese in piazza circa 700.000 persone, capitanate dal sindaco di Londra Sadiq Khan e dagli attivisti del “People’s Vote” che hanno organizzato una marcia da Park Lane fino al Parlamento per chiedere un nuovo referendum sulla Brexit.

La questione è al momento meramente teorica, ed è soggetta ad una serie di variabili difficili da prevedere – che spaziano dall’appoggio della camera dei Comuni fino alle elezioni anticipate; dal raggiungimento di un accordo di recesso con l’Unione Europea all’interruzione dei negoziati. Ma cosa serve, dal punto di vista legale, per arrivare ad un nuovo referendum?

A fare i conti ci ha pensato un ottimo studio condotto dai ricercatori di University College London (“UCL”) in collaborazione con The UK in a Changing Europe che in un rapporto di 65 pagine dal titolo “The Mechanics of a further referendum on Brexit” ha esaminato la dinamica dell’intero processo verso una nuova consultazione. E quanto complicata questa sia già da un punto di vista pratico.

La prima conclusione, che sicuramente stupirà molti, è che per indire un nuovo referendum ci vuole molto più tempo di quanto non si pensi: il Parlamento deve approvare un progetto di legge, il che significa che i partiti concordano sulla necessità di un referendum e sul suo contenuto (cioè la/le domande da porre), la Commissione elettorale britannica deve valutare l’intellegibilità delle domande e secondo la legislazione vigente serve poi un periodo di campagna elettorale di 10 settimane prima che la consultazione elettorale possa avvenire. Il risultato è che perché tutto ciò possa realizzarsi occorrono almeno 22 settimane.

E veniamo così al secondo problema: anche assumendo che la legislazione sul nuovo referendum venisse presentata al Parlamento nel corso della prossima seduta, non ci sarebbe il tempo di indire una nuova consultazione prima del 29 marzo 2019, data in cui il Regno Unito dovrebbe lasciare la UE.

Il che porta al terzo snodo, e cioè la necessaria estensione del termine di cui all’art.50 del Trattato di Lisbona (da accordare presumibilmente all’unanimità da parte dei restanti Paesi dell’Unione, il che, ormai lo sappiamo, comporterebbe un’ulteriore differimento dei termini per il referendum).

Mettiamo che il Regno Unito abbia deciso di indire il referendum, e la UE accordato un differimento dei termini ex art.50: tutto a posto? Ancora una volta no: tra il 23 ed il 26 maggio 2019 si terranno infatti le nuove elezioni per il Parlamento europeo. Se il termine del recesso fosse esteso, e dunque il 29 marzo non coincidesse più con il Brexit day, allora il Regno Unito sarebbe obbligato a partecipare a tali elezioni, e dunque l’eventuale referendum dovrebbe svolgersi prima delle elezioni di maggio al fine di determinare se il Regno Unito debba o meno partecipare a queste ultime. Rispettare tale scadenza però non è semplice, visto che, secondo la legislazione britannica, le elezioni al Parlamento europeo devono essere annunciate non meno di cinque settimane prima del voto. Ciò significa che un secondo referendum dovrebbe svolgersi entro l’11 aprile, e questo appare alquanto improbabile se si considerano le 22 settimane necessarie secondo le stime dal team di UCL.

Perché referendum ed elezioni europee possano convivere, sarebbe dunque necessario un qualche escamotage in base al quale il Regno Unito dovrebbe dichiarare che, se restasse nella UE, provvederebbe a votare per il Parlamento europeo solo in un momento successivo, preferibilmente antecedente al 2 luglio, che è la data della prima riunione formale del nuovo Parlamento Europeo. Naturalmente numerose obiezioni legali – anche internazionali – seguirebbero a tale eventualità.

E tutto questo, appare opportuno ricordarlo, assumendo che si trovi facilmente un accordo sulle domande da porre all’interno del referendum stesso: il quesito Leave contro Remain,che appare scontato ai supporters del fronte pro Europa non è infatti l’unica opzione possibile. “Il popolo ha gia’ votato Leave”, dicono gli euroscettici, dunque l’unico quesito possibile dovrebbe riguardare se accettare o meno un deal con Bruxelles ovvero lasciare l’Unione senza alcun accordo.

I ricercatori UCL bocciano sia il quesito yes/no sull’accordo proposto che un sondaggio a due stadi, come suggerito da altri, e considerano improbabile anche un quesito solo “deal” contro “no deal”. In caso di raggiunto/mancato accordo propendono per un referendum Remain contro Deal/No Deal; ma poiché questo potrebbe generare ulteriori controversie (che dipendono dai termini dell’accordo proposto) suggerisce come preferibile un referendum a tre domande: Deal contro No Deal contro Remain.

Altre questioni da affrontare riguarderebbero poi quale elettorato includere nel referendum, la necessità di prevedere una campagna referendaria online, le modalità di calcolo del quorum per decretare il risultato e così via.

Insomma, un nuovo referendum Brexit è senz’altro ancora possibile, anche eventualmente ricorrendo ad una legislazione di emergenza, ma i dettagli sono importanti e la pianificazione dovrebbe iniziare quanto prima per garantire che qualsiasi referendum sia considerato legittimo.

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