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La Cassazione si pronuncia sulla fiscalità indiretta del Patto di famiglia

La Cassazione si pronuncia sulla fiscalità indiretta del Patto di famiglia

E’ con l’ordinanza n. 32823 del 19 dicembre 2018 che la Cassazione interviene per la prima volta sul tema della fiscalità indiretta del patto di famiglia, destando non poche perplessità.

Come noto, il patto di famiglia, introdotto nel nostro ordinamento nel 2006, è un contratto attraverso il quale l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti. Il patto di famiglia rappresenta un’importante novità costituendo una deroga al divieto di patti successori. Tra gli aspetti più rilevanti del patto, l’obbligo per gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie di liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote trasferite; i contraenti possono convenire che la liquidazione, in tutto o in parte, avvenga in natura. Altro elemento essenziale è che i beni assegnati con lo stesso contratto agli altri partecipanti non assegnatari dell’azienda, secondo il valore attribuito in contratto, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti (l’assegnazione può essere disposta anche con successivo contratto che sia espressamente dichiarato collegato al primo e purchè vi intervengano i medesimi soggetti che hanno partecipato al primo contratto o coloro che li abbiano sostituiti). Quanto ricevuto dai contraenti, inoltre, non è soggetto a collazione o a riduzione.

Ciò premesso, l’aspetto qui di interesse riguarda proprio il trasferimento da parte dei soggetti assegnatari ai non assegnatari ed il regime di fiscalità indiretta applicabile.

Innanzitutto la fattispecie oggetto di analisi. Il caso esaminato dalla Suprema Corte attiene al trasferimento in denaro da parte di un fratello alla sorella a tacitazione e liquidazione pro quota delle azioni trasferite dalla loro madre al primo nell’ambito di un patto di famiglia. Su detto trasferimento era stata liquidata l’imposta di donazione con applicazione dell’aliquota e della franchigia relativa al rapporto intercorrente tra la madre-disponente e la figlia-non assegnataria del bene produttivo (4% con franchigia di un milione di euro e non 6% con franchigia di 100 mila euro, come preteso dall’Agenzia delle Entrate).

Secondo la Cassazione, i giudici di prime cure avrebbero erroneamente ravvisato nel patto di famiglia, a fini fiscali, un atto unitario di donazione, e non due atti autonomi e distinti, individuabili il primo, nel trasferimento delle azioni dalla madre al figlio, ed il secondo nel trasferimento della somma compensativa da quest’ultimo alla sorella.

Sul tema si era già pronunciata in passato l’Amministrazione finanziaria (Circolari 3/E/ 2008 e 18/E/2013), nonché la dottrina, ex multis il Consiglio Nazionale del Notariato (Studi 43/2007/T e 36/2011/T). A bene vedere, la decisione della Suprema Corte circa l’applicabilità dell’imposta di donazione ai trasferimenti dal beneficiario assegnatario a quello non assegnatario si inserisce nel solco dell’orientamento espresso dall’Agenzia delle Entrate e non desta particolari perplessità (peraltro l’applicazione dell’imposta non era stata in alcun modo contestata dalle parti ma era stata liquidata, seppur in misura diversa da quella pretesa dall’Amministrazione finanziaria). La stessa, invero, aveva sostenuto che l’attribuzione di somme di denaro o di beni eventualmente posta in essere dall’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni sociali in favore degli altri partecipanti al contratto rientrassero nell’ambito applicativo dell’imposta sulle successioni e donazioni, senza tuttavia entrare nel merito in ordine all’individuazione del rapporto di parentela rilevante.

Parimenti, il CNN aveva ritenuto che il trasferimento dal beneficiario assegnatario al beneficiario non assegnatario fosse ascrivibile, in senso unitario, all’ambito della gratuità e fosse connotato da una funzione programmatica finalizzata ad attuare una successione anticipata del disponente-imprenditore (studio CNN 43/2007/T). Qualificando l’attribuzione alla stregua di un onere donativo, ciò che rilevava ai fini della tassazione era il rapporto di parentela intercorrente tra il disponente-imprenditore ed i legittimari non assegnatari del bene produttivo.

La Cassazione, da un lato ricalca i ragionamenti testé richiamati, dall’altro giunge ad una conclusione differente sostenendo che la tassazione di tali attribuzioni debba avvenire non già in base al rapporto di parentela intercorrente tra il disponente-imprenditore ed il di lui legittimario non assegnatario, bensì tra il beneficiario assegnatario ed il beneficiario non assegnatario. In sostanza, i Giudici di legittimità configurano tale ultima assegnazione alla stregua di una donazione vera e propria, tuttavia trascurando che della donazione mancano i tratti fondamentali, primo fra tutti l’animus donandi: l’assegnazione, invero, deriva da un obbligo imposto dalla legge per origine del patto di famiglia e non dalla volontà del soggetto. Dubbi anche sull’ulteriore considerazione secondo cui il denaro necessario alla compensazione del legittimario non assegnatario non può che provenire dall’assegnatario e non dal disponente. Il che basterebbe ad inficiare l’assunto secondo cui l’aliquota e la franchigia dell’imposta di donazione sarebbero quelle individuate in relazione al disponente.

I Giudici di Piazza Cavour, pertanto, hanno sostanzialmente aderito alla tesi dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza della CTR e pronunciando il principio secondo cui «il patto di famiglia di cui agli artt. 768 bis c.c. e ss. è assoggettato all’imposta sulle donazioni per quanto concerne sia il trasferimento dell’azienda o della partecipazione dal disponente al discendente (fatto salvo il ricorso delle condizioni di esenzione di cui al D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 3, comma 4 ter), sia la corresponsione di somma compensativa della quota di legittima dall’assegnatario dell’azienda o della partecipazione ai legittimari non assegnatari; quest’ultima corresponsione è assoggettata ad imposta in base all’aliquota ed alla franchigia relative non al rapporto tra disponente ed assegnatario, e nemmeno a quello tra disponente e legittimario, bensì a quello tra assegnatario e legittimario».

  • Giovanna Mazza
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