L’istante presentava un consistente credito verso un fallimento considerato senza alcuna possibilità di recupero e intendeva rinunciare allo stesso con l’obiettivo di poter recuperare l’IVA anticipatamente rispetto alla conclusione della procedura, condizione prevista dall’articolo 26, comma 2, d.P.R. 633/1972, nella versione antecedente alla modifica introdotta dall’articolo 18 del Decreto Legge 73/2021 per le procedure concorsuali avviate dal 26 maggio 2021 che ammette l’esercizio della variazione IVA già a partire dalla data di avvio della procedura, senza dover attendere l’esito infruttuoso della stessa.
Secondo l’istante, conformemente a quanto previsto dalla recente giurisprudenza di legittimità con riferimento a un caso analogo (cfr. Sent. Cass., Sez. V, n. 35518 del 19 dicembre 2023), l’esercizio della variazione IVA dovrebbe essere consentito in caso di rinuncia al credito trattandosi di fattispecie non dissimile dai casi di “nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili” previsti dall’articolo 26, comma 2, d.P.R. 633/1972. In tutti questi casi, infatti, il credito, per la parte rinunciata (compreso il credito da rivalsa IVA), non potrà essere in alcun modo soddisfatto dal cessionario insolvente e qualora la variazione IVA non fosse consentita verrebbe violato il principio della neutralità dell’imposta.
A fronte della perdita del credito da rivalsa da parte del cedente/prestatore, a seguito della rinuncia al credito, al cessionario/committente verrebbe garantita la detrazione dell’imposta, infrangendo così il binomio “rivalsa-detrazione”.
Nella risposta fornita, l’Agenzia è tuttavia di diverso avviso. A giudizio dell’Agenzia, secondo il legislatore nazionale, in conformità alla disciplina comunitaria (cfr. artt. 90 e 185, Dir. 2006/112/CE), gli eventi “simili” cui rinvia l’articolo 26, comma 2, d.P.R. 633/1972 sono solamente quelli nella sostanza riconducibili alle ipotesi di “dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione e rescissione”, per effetto delle quali l’operazione economica originaria, che ha determinato l’esercizio della rivalsa dell’imposta, viene meno in tutto o in parte, ovvero, stante una precisa previsione contrattuale (i.e. clausola attributiva della facoltà di recesso), viene meno l’operazione sottostante all’emissione della fattura.
L’Agenzia evidenzia che il legislatore nazionale ha poi fruito della deroga disposta dall’articolo 90, comma 2 della Direttiva, circoscrivendo la possibilità di ridurre la base imponibile e la relativa imposta, nel caso di mancato pagamento, alle sole ipotesi di esito negativo di una procedura concorsuale (a partire dalla data della procedura concorsuale per le procedure avviate dal 26 maggio 2021) o di una procedura esecutiva individuale.
L’Agenzia conclude quindi che il caso di “rinuncia unilaterale al credito” non rientra in alcuna delle fattispecie che consentono l’esercizio della variazione IVA, evidenziando in particolare come la rinuncia al credito riguardi il profilo meramente finanziario del credito mentre l’operazione economica originaria che ha determinato l’esercizio della rivalsa dell’imposta non subisce alcuna variazione.
L’Agenzia smentisce così la tesi della Cassazione lasciando dubbi sul rispetto del principio della neutralità dell’imposta.
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