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Novità fiscali su rinuncia ai crediti dei soci verso la società

Novità fiscali su rinuncia ai crediti dei soci verso la società
L’art. 13 del D.Lgs. 147/2015, cd. “Decreto Internazionalizzazione” ha introdotto novità di rilievo in materia di rinuncia a crediti da parte dei soci nei confronti della società a partire dal 1° Gennaio 2016.

Innanzitutto va precisato che tale credito può essere sia di natura commerciale che finanziaria. Il primo caso deriva dall’ordinaria attività di impresa, da transazioni di natura commerciale intercorse tra il socio e la società.

Il finanziamento soci, in base al codice civile, è un contratto di mutuo con il quale il socio finanziatore versa una somma di denaro alla azienda, che, a sua volta, si obbliga a restituirla nei modi e nei tempi convenuti tra le parti in un vero e proprio contratto di finanziamento. Le parti possono stabilire la fruttuosità o meno del finanziamento; in caso di finanziamento infruttifero, l’impegno della società finanziata è solo quello di restituire il capitale avuto in prestito.

La rinuncia a tali crediti può essere effettuata mediante un atto formale da parte del socio stesso con l’intento di rafforzare la società dal punto di vista patrimoniale.

In base ai corretti principi contabili, nello specifico OIC 28, tale rinuncia origina un incremento del patrimonio netto della società, indipendentemente dalla natura dei crediti, siano essi di natura finanziaria (fruttiferi o meno) o commerciale. La rinuncia al credito deve essere rilevata, ai fini contabili, tra le Altre Riserve della società debitrice e non deve transitare da Conto Economico.

La disciplina previgente di cui all’art. 88 comma 4 del T.U.I.R. prevedeva la totale irrilevanza fiscale della rinuncia in questione per i crediti di qualsiasi natura e la ratio sottostante era ravvisabile nella “cointeressenza del socio-creditore alle vicende della società partecipata”, come definito dall’Amministrazione Finanziaria, infatti l’atto non viene qualificato come mera liberalità bensì come specifica volontà del socio di patrimonializzare la società.

Su questo humus giuridico si innestano le modifiche introdotte con il decreto internazionalizzazione, il quale dispone che l’irrilevanza fiscale non è più assoluta bensì limitata alla parte di rinuncia che corrisponde al valore del credito fiscalmente riconosciuto, con ciò comportando che la parte eccedente:

  • va a costituire una sopravvenienza attiva tassabile in capo alla società;
  • incrementa il valore fiscale della partecipazione in capo al socio.

La tassazione si configura unicamente per le imposte sul reddito della società (IRES o IRPEF), mentre non si estende all’IRAP, la cui base imponibile è determinata sulle risultanze del conto economico.

Esempio pratico:

Alfa Srl ha un debito di 1.000€ nei confronti di una banca, il socio X acquista il credito dalla banca per 500€, la banca deduce la perdita conseguita, al 100% secondo quanto previsto dal D.L. 83/2015. In un secondo momento il socio X decide di rinunciare a detto credito per ricapitalizzare Alfa. Fino al 2015, la banca poteva dedurre fiscalmente 500€ ma né la società né il socio assoggettavano a tassazione alcun importo. Con la nuova norma il valore fiscale del credito acquistato da X si riduce a 500€ pertanto la rinuncia comporta l’insorgere di una sopravvenienza attiva tassabile in capo alla società e al contempo l’incremento della partecipazione del socio nella società avverrà per 500€.

Alla luce del nuovo dettato legislativo (art. 88 comma 4-bis del T.U.I.R.), l’ammontare di quanto dedotto dal socio-creditore a titolo di svalutazione o minusvalenza o la differenza tra il corrispettivo di acquisto del credito da terzi e il suo valore nominale, corrispondono alla sopravvenienza attiva imponibile in capo alla società.

Si ritiene opportuno sottolineare che la nuova norma prevede espressamente l’obbligo di comunicazione da parte del socio, attraverso dichiarazione sostitutiva di atto notorio, del valore fiscale del credito. In mancanza il valore fiscale del credito si assume pari a zero, pertanto la rinuncia risulterebbe totalmente imponibile in capo alla società.

Infine si specifica che questa disposizione non si applica qualora tali operazioni siano poste in essere in esecuzione di concordato fallimentare, preventivo liquidatorio, accordo di ristrutturazione o piano attestato di risanamento per cui continua a valere il disposto dell’art. 88, comma 4-ter del T.U.I.R., ossia l’imponibilità della sopravvenienza della parte che eccede le perdite fiscali di periodo, pregresse (senza considerare il limite dell’80%) e gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilati, come previsto dal D.L. 83/2015.

Come osservato in particolare nel recente contributo della Fondazione Nazionale dei Dottori Commercialisti (documento del 15 Gennaio 2016), tale modifica se da un lato raggiunge l’obbiettivo di evitare il configurarsi di salti di imposta, dall’altro presta il fianco ad aggiramenti della norma stessa introducendo un regime differenziato rispetto ai versamenti a fondo perduto o in conto capitale. Qualora, infatti, un socio rinunci ad un credito svalutato ovvero acquistato ad un valore inferiore rispetto al suo valore nominale la differenza genererà una sopravvenienza tassabile in capo alla società ma se la società saldasse il proprio debito ed il socio apportasse quanto incassato a titolo di versamento in conto capitale, salvo poi rinunciarvi, l’operazione non avrebbe alcuna rilevanza fiscale.

 

  • Nicolò Bergamin
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