Nel caso in specie, una società aveva posto in essere una sequela di atti negoziali formata da:
Nella sentenza impugnata il vantaggio fiscale veniva individuato nella circostanza che la società socia avrebbe ottenuto un utile escluso dalla formazione del reddito per il 95% e una minusvalenza interamente deducibile, sebbene essa fosse imputabile proprio dalla distribuzione dell’utile non tassato.
Secondo i Giudici, tuttavia, l’acquisto e la successiva cessione delle partecipazioni, effettuati tramite intermediario finanziario sul mercato regolamentato, e la stessa classificazione delle partecipazioni acquistate nell’attivo circolante della contribuente, non sono considerate fittizie, anomale o inadeguate rispetto all’operazione economica di trading intrapresa. La società, infatti, ha effettivamente acquisito le partecipazioni e le ha realmente possedute, fin quando non le ha, altrettanto effettivamente, alienate.
È stato ritenuto, inoltre, che la fattispecie non appaia sussumibile in un’ipotesi di “dividend washing”, che richiederebbe “una doppia cessione delle partecipazioni sociali, con la restituzione dei titoli al precedente cedente”. Al contrario, nel caso di specie le azioni sono state acquistate e poi vendute effettivamente a soggetti terzi.
Il vantaggio fiscale ascritto alla società non può qualificarsi, secondo i Giudici, come indebito, atteso che deriva dalla disciplina legale relativa a componenti reddituali non “manipolati”, la cui effettività giuridica ed economica non è messa in dubbio, determinando, pertanto, un legittimo risparmio d’imposta.
La scelta dell’imprenditore di cedere le partecipazioni in questione, dopo averle effettivamente acquistate, e più in generale la scelta di iniziare e poi cessare l’attività di trading, costituiscono esercizio di libertà d’iniziativa economica e negoziale che non può essere sindacato dall’Amministrazione.
Si evidenzia, infine, che la peculiarità del caso di specie neppure consente la prospettazione di mezzi alternativi (più diretti, logici e conformi a criteri di economicità) attraverso i quali poter raggiungere il medesimo risultato di dismettere i relativi investimenti. La negazione della legittimità della scelta di cedere le partecipazioni non si può certo tradurre nell’imporre alla società la prosecuzione dell’investimento.