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Abuso del diritto solo se il vantaggio fiscale è indebito

Abuso del diritto solo se il vantaggio fiscale è indebito
I Giudici della Suprema Corte, con la sentenza n. 14493 del 9 maggio 2022, hanno ribadito che una serie di operazioni comportanti un vantaggio fiscale non costituisce, ex se, una fattispecie in abuso del diritto in quanto il vantaggio fiscale è condizione necessaria ma non sufficiente per qualificare la natura abusiva dell’operazione. Perché un’operazione possa essere qualificata come abusiva è necessario, infatti, che tale vantaggio sia indebito ovverosia in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario.

Nel caso in specie, una società aveva posto in essere una sequela di atti negoziali formata da:

  • acquisto di una partecipazione in altra società di capitali con significativi utili pregressi accantonati a riserva, riconoscendo nel prezzo di acquisto anche il valore di detti utili;
  • consistente distribuzione di dividendi, da parte della società acquisita, il cui incasso da parte della nuova società socia è tassato solo nei limiti del 5% ai sensi dell’art. 89, comma 2, del TUIR;
  • cessione a terzi della partecipazione, svuotata del proprio valore in conseguenze della suddetta distribuzione, ad un prezzo inferiore a quello di acquisto con conseguente realizzo di una minusvalenza integralmente deducibile dal reddito d’impresa.

Nella sentenza impugnata il vantaggio fiscale veniva individuato nella circostanza che la società socia avrebbe ottenuto un utile escluso dalla formazione del reddito per il 95% e una minusvalenza interamente deducibile, sebbene essa fosse imputabile proprio dalla distribuzione dell’utile non tassato.

Secondo i Giudici, tuttavia, l’acquisto e la successiva cessione delle partecipazioni, effettuati tramite intermediario finanziario sul mercato regolamentato, e la stessa classificazione delle partecipazioni acquistate nell’attivo circolante della contribuente, non sono considerate fittizie, anomale o inadeguate rispetto all’operazione economica di trading intrapresa. La società, infatti, ha effettivamente acquisito le partecipazioni e le ha realmente possedute, fin quando non le ha, altrettanto effettivamente, alienate.

È stato ritenuto, inoltre, che la fattispecie non appaia sussumibile in un’ipotesi di “dividend washing”, che richiederebbeuna doppia cessione delle partecipazioni sociali, con la restituzione dei titoli al precedente cedente. Al contrario, nel caso di specie le azioni sono state acquistate e poi vendute effettivamente a soggetti terzi.

Il vantaggio fiscale ascritto alla società non può qualificarsi, secondo i Giudici, come indebito, atteso che deriva dalla disciplina legale relativa a componenti reddituali non “manipolati”, la cui effettività giuridica ed economica non è messa in dubbio, determinando, pertanto, un legittimo risparmio d’imposta.

La scelta dell’imprenditore di cedere le partecipazioni in questione, dopo averle effettivamente acquistate, e più in generale la scelta di iniziare e poi cessare l’attività di trading, costituiscono esercizio di libertà d’iniziativa economica e negoziale che non può essere sindacato dall’Amministrazione.

Si evidenzia, infine, che la peculiarità del caso di specie neppure consente la prospettazione di mezzi alternativi (più diretti, logici e conformi a criteri di economicità) attraverso i quali poter raggiungere il medesimo risultato di dismettere i relativi investimenti. La negazione della legittimità della scelta di cedere le partecipazioni non si può certo tradurre nell’imporre alla società la prosecuzione dell’investimento.

  • Luigi Belluzzo
  • Ivan Mastrototaro
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