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Il Carried Interest è (quasi) sempre un reddito di capitale o diverso

Il Carried Interest è (quasi) sempre un reddito di capitale o diverso

L’art. 60 del decreto-legge n. 50 del 24 aprile 2017, convertito con modificazioni dalla legge n. 96 del 21 giugno 2017, è intervenuto sulla disciplina fiscale del c.d. carried interest stabilendo che tale provento sia qualificato come reddito di capitale o diverso al ricorrere di determinati requisiti.

Nel settore del private equity, per carried interest s’intende quella particolare forma di remunerazione/extra-provento percepito dal management e/o dai dipendenti di società, enti o società di gestione dei fondi d’investimento derivante dalla detenzione di strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati. Grazie a questi ultimi, i manager hanno il diritto di ricevere una parte dell’utile complessivo generato dall’investimento in misura più che proporzionale all’investimento medesimo.

Prima del 24 aprile 2017, data di entrata in vigore dell’art. 60 in commento, non era agevole stabilire se detti proventi dovessero essere qualificati ai fini fiscali come reddito di lavoro (dipendente, assimilato o autonomo) o come reddito di natura finanziaria (diverso o di capitale).

Tale difficoltà derivava dal fatto che non erano codificate precise ipotesi in cui il provento conseguito dal manager fosse qualificabile come una remunerazione riconducibile alla sua prestazione lavorativa o alla sua posizione di co-investitore.

Oggi, invece, grazie alla presunzione legale assoluta introdotta dal predetto articolo 60, è possibile qualificare tali proventi come redditi di capitale o diversi qualora sussistano contemporaneamente i seguenti requisiti:

  1. effettuazione di un investimento di ammontare minimo;
  2. il differimento della distribuzione dell’extra-provento;
  3. il periodo minimo di detenzione degli strumenti finanziari.

Quanto al requisito sub 1), la Circolare 25/E del 16 ottobre 2017, che commenta le nuove disposizioni,  chiarisce che, al fine di evidenziare il ruolo di co-investitore, l’impegno di investimento del management deve essere pari ad almeno l’1% del:

  1. totale investimento effettuato dal fondo, al netto dell’indebitamento assunto per realizzare il medesimo, nel caso in cui il manager detenga quote del fondo;
  2. patrimonio netto della società che esegue l’investimento, nel caso in cui il manager detenga una quota del capitale della società che esegue l’investimento.

La predetta Circolare, inoltre, specifica che l’investimento deve essere effettivamente sostenuto e che, pertanto, il manager deve effettuare un esborso monetario che lo esponga al rischio di perdita del capitale.

Quanto al requisito sub 2), la disciplina in esame prevede che prima di distribuire il carried interest debbano necessariamente essere soddisfatti tutti gli (altri) investitori, i quali devono percepire non solo il rimborso del capitale investito ma anche un rendimento minimo (c.d. hurdle rate), come di prassi stabilito dallo statuto o dal regolamento del fondo.

Tale assunto implica che anche i titolari di strumenti finanziari con diritti patrimoniali rafforzati devono essere soddisfatti, al pari degli altri investitori, ma con esclusione di quell’extra-provento derivante dai diritti patrimoniali rafforzati.

Una volta soddisfatti tutti gli investitori, si potrà procedere con la distribuzione differita del solo carried interest, cioè della componente finanziaria rafforzata relativa alle quote del fondo o alle azioni della società.

Quanto al requisito sub 3), ossia il periodo minimo di detenzione dell’investimento, c. d. holding period, la Circolare specifica che lo stesso non può essere inferiore a cinque anni.

Si evidenzia, tuttavia, che la percezione del carried interest prima del compimento del quinquennio non preclude la qualificazione reddituale dello stesso come reddito di capitale o diverso, a meno che lo strumento finanziario non sia ceduto prima del quinquennio. In tale ultimo caso, la carenza del requisito del periodo minimo di possesso comporterà una riqualificazione fiscale dell’extra-provento come reddito da lavoro (dipendente, assimilato o autonomo).

La mancanza di solo uno dei tre predetti requisiti comporta, ovviamente, l’impossibilità di qualificare ope legis i carried interest come redditi di capitale o diversi e, pertanto, sarà necessario stabilire caso per caso se tali proventi siano qualificabili fiscalmente come:

  1. reddito da lavoro, in quanto strettamente relativi all’impegno profuso dal manager nell’attività lavorativa;
  2. redditi di capitali e o diversi, in quanto riflettono la remunerazione del rischio di perdita assunto con l’investimento.

Come è facile intuire, l’introduzione dell’articolo 60 ha il pregio di aver individuato nel rispetto dei tre requisiti la condizione giuridica sufficiente per poter qualificare fiscalmente tali proventi in maniera inequivoca. Allo stesso tempo, tuttavia, la carenza di anche solo uno di tali requisiti mantiene in vita quello stato di incertezza fiscale preesistente all’entrata in vigore delle norme in commento.

In ogni caso, la prassi ministeriale prevede la possibilità per il contribuente di formulare apposito interpello all’Amministrazione Finanziaria al fine di conoscere l’esatto trattamento fiscale applicabile al carried interest.

 

  • Domenico Sannicandro
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