Nella risposta n. 263 è stato affrontato il caso di un cittadino italiano residente all’estero dal 1° gennaio 2023 assunto quale dipendente presso una società estera, il quale durante il periodo di permanenza all’estero, ha continuato a svolgere un’attività di collaborazione coordinata e continuativa con una Università italiana. Il lavoratore intendeva trasferire la propria residenza fiscale in Italia a partire dal 1° gennaio 2026, per lavorare con una società italiana non collegata né partecipata allo stesso gruppo del proprio datore estero, mantenendo al contempo il rapporto di collaborazione con l’Università italiana.
L’Agenzia delle Entrate – ripercorrendo i requisiti per accedere al regime – ha confermato che il nuovo regime degli impatriati trova applicazione anche nel caso in cui ci sia la “continuità” tra la posizione lavorativa esistente prima del trasferimento all’estero e quella assunta dopo il trasferimento in Italia. In tali casi, tuttavia, il periodo minimo di residenza estera pregressa si allunga da tre anni a sei o sette anni a seconda che si tratti o meno del medesimo soggetto (datore/gruppo) presso cui il lavoratore svolgeva l’attività prima di trasferirsi all’estero.
Nel caso in questione, quindi, è stata confermata la possibilità, per il Contribuente di fruire dell’agevolazione per i lavoratori impatriati con riferimento al reddito prodotto in Italia in ragione del nuovo rapporto di lavoro col datore di lavoro italiano. Ciò indipendentemente dalla circostanza che l’Istante “al rientro in Italia continuerà a svolgere anche l’attività di collaborazione coordinata e continuativa con l’Università”. I redditi corrisposti dall’Università, tuttavia, saranno sottoposti a regime tributario ordinario in quanto trattasi di redditi derivanti da un’attività lavorativa svolta per lo stesso datore italiano per cui il Contribuente aveva lavorato sia quando era all’estero sia nel periodo antecedente l’espatrio.
Con la risposta n. 264, è stato affrontato il caso di un cittadino italiano residente nel Regno Unito, iscritto AIRE da gennaio 2021, che tra gennaio 2021 e ottobre 2022 aveva svolto la propria attività lavorativa presso la Banca Europea degli Investimenti (BEI) e successivamente da ottobre 2022 presso la Banca Europea per la ricostruzione lo sviluppo (BERS).
il Contribuente richiedeva la possibilità di accedere al regime per i lavoratori impatriati a partire dal periodo d’imposta 2025, anno in cui aveva intenzione di trasferire la propria residenza fiscale in Italia, o se, la sua attività lavorativa alle dipendenze di istituzioni europee quali la BERS comportasse la preclusione al regime prevista per i funzionari e gli agenti soggetti alla normativa sui Privilegi e sulle Immunità dell’Unione Europea (cfr. Art. 13 del Protocollo n.7 allegato al TUE e TFUE).
L’Agenzia delle Entrate evidenziava che i funzionari e gli agenti dell’Unione europea, cui si applica la predetta normativa sui Privilegio e sulle Immunità dell’UE, sono considerati, “ex lege fiscalmente residenti in Italia, anche nell’ipotesi in cui siano in possesso del requisito formale dell’iscrizione all’AIRE nei due periodi precedenti il rimpatrio, con la conseguenza che l’accesso al regime agevolativo per gli stessi, in carenza di uno dei presupposti richiesti dalla norma deve considerarsi precluso” (cfr. circ. n. 33/2020). Il citato Protocollo n. 7 trova applicazione anche con riferimento alla Banca centrale europea, ai membri dei suoi organi e al suo personale nonché alla BEI, ai membri dei suoi organi, al suo personale senza invece menzionare è la BERS.
Di conseguenza, considerato che nel periodo di osservazione, ai fini dell’accesso al regime impatrati (i.e. 2023,2024,2025), il contribuente ha lavorato presso BERS (e non più presso BEI), l’Agenzia delle Entrate ha confermato che – al ricorrere delle altre condizioni di legge – il lavoratore potrà fruire dell’agevolazione non rientrando tra i soggetti (i funzionari o agenti) a cui si applica il protocollo n. 7 sui privilegi e sulle immunità dell’UE.