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Paradisi fiscali alla prova degli scambi di informazione

Paradisi fiscali alla prova degli scambi di informazione

Tempi duri per gli italiani che si sono trasferiti nei Paradisi Fiscali. Specie quando gli stessi, pur se iscritti all’AIRE, non rispettino i requisiti sostanziali di cui all’art. 2 del TUIR e non pongano la dovuta attenzione a quanto previsto dall’art. 2 comma 2-bis Tuir che, come noto, pone a carico del cittadino italiano la prova dell’effettivo trasferimento all’estero.

Oltre ai soliti “furbetti”, tuttavia, esistono anche coloro che sono effettivamente residenti all’estero sia sul piano giuridico che fiscale.

Ci sono alcune novità: parrebbero essersi inasprite le verifiche da parte dell’Amministrazione Finanziaria nei confronti dei cittadini AIRE trasferiti nei paradisi fiscali.

Gli scambi automatici e su richiesta tra amministrazioni sono ormai una realtà pienamente operativa. Per quanto si è potuto riscontrare nel corso dell’attività professionale svolta dal nostro Studio, sugli esiti di tali scambi sono state fondate le recenti contestazioni sui trasferimenti di residenza occorsi, ad esempio, tra Italia e Svizzera o Monte Carlo. A ciò si aggiunga che, a più di un lustro dalla stagione della voluntary disclosure, sono prossimi alla piena operativa i “registri dei titolari effettivi”. Occorre, pertanto, guardare attentamente, non solo per motivi di compliance fiscale, alle informazioni che vengono registrare nei database delle varie giurisdizioni.

Gli strumenti di pianificazione giuridica, fiscale e patrimoniale non possono restare indifferenti a tale contesto. Si rende opportuno, infatti, valutare quali siano strumenti giuridici consentiti dalla legge che permettano di raggiungere il maggiore grado di riservatezza.

In queste settimane l’Agenzia delle Entrate ha avviato nuove iniziative finalizzate al recupero dei redditi non dichiarati all’Erario. Lo ha fatto attraverso un esame analitico, non più a campione, degli iscritti all’AIRE, focalizzando in primis l’attenzione sugli oltre 800 mila italiani che vivono in paesi c.d. “Black List”. Particolarmente preziosa è inoltre la collaborazione con i Comuni, quest’ultimi incentivati dalla possibilità di ricevere sostanziosi bonus se collaborano nello stanare i finti “espatriati”. Infine, potendo contare su un’ingente mole di dati raccolti negli ultimi 10 anni, l’Amministrazione Finanziaria ha moltiplicato le richieste di dati agli intermediari finanziari, così da incrociare le intestazioni bancarie chiuse all’estero con quelli di coloro che hanno partecipato alla voluntary disclosure.

Alla luce del quadro descritto, è opportuno che i residenti all’estero compiano una verifica interna e preliminare, in modo da essere pronti a mettere volontariamente a disposizione i dati utili a fornire la prova di effettivo trasferimento della residenza all’estero e bloccando in anticipo, così facendo, il possibile invio di questionari da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

Per coloro che invece hanno da temere, è consigliabile procedere senza indugio a sanare la posizione. Il nostro ordinamento consente ancora alcuni vantaggi premiali, non solo monetari o reputazionali, laddove la pratica venisse ben incanalata nell’alveo della trasparenza e cooperazione. A tal riguardo il nostro Studio ha maturato una significativa esperienza negli ultimi anni.

Per chi volesse approfondire, il nostro Focus Update in materia di “Italiani residenti all’estero” è ora disponibile alla consultazione.

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  • Luigi Belluzzo
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