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Stock options: no al beneficio “impatriati” se l’incasso avviene dopo il trasferimento all’estero

Stock options: no al beneficio “impatriati” se l’incasso avviene dopo il trasferimento all’estero
Con la risposta n. 274/2025, l’Agenzia delle Entrate, torna a fare chiarezza sul trattamento fiscale degli emolumenti differiti – come LTIP e Deferred Bonus Plan – in relazione al regime agevolato per i lavoratori impatriati specificando che, ai fini dell’applicazione o meno del regime, il momento rilevante è solo quello della percezione del reddito. Di conseguenza, gli emolumenti riferibili ad attività effettuate in Italia durante il periodo di fruizione del beneficio, ma percepiti successivamente al trasferimento della residenza fiscale all’estero, non potranno più beneficiare dell’agevolazione per i lavoratori impatriati. Tali redditi, quindi, in Italia dovranno quindi essere assoggettati a tassazione ordinaria.

Il caso esaminato riguardava una società che, nel 2021, aveva assunto tre dipendenti provenienti dall’estero i quali beneficiavano del regime impatriati ai sensi dell’art. 16 Dlgs. n. 147/2015.

Oltre alla retribuzione ordinaria, la società aveva attribuito loro un Long Term Incentive Plen (LTIP) nel 2022 e un Deferred Bonus Plan nel 2023, entrambi con maturazione prevista nel periodo d’imposta 2025. Nel corso del 2024, tuttavia, i dipendenti avevano cessato il rapporto di lavoro e trasferivano la propria residenza fiscale in Grecia. A quel punto, la società – in qualità di sostituto d’imposta – si interrogava sulla possibilità di applicare il regime impatriati anche agli emolumenti differiti, maturati durante il periodo agevolato ma percepiti nel 2025, quando i lavoratori non erano più fiscalmente residenti in Italia.

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che, ai fini fiscali, il reddito di lavoro dipendente segue il principio della imposizione per cassa e che pertanto conta il momento in cui il reddito viene effettivamente percepito. Ciò detto, essendo il reddito in questione percepito da un soggetto fiscalmente non residente in Italia, soccorrerà l’art. 23 del TUIR in forza del quale il reddito da lavoro dipendente si considera imponibile in Italia se riferibile ad attività svolta nel territorio dello Stato.

Ferma restando, dunque, l’imponibilità in Italia di questi redditi, l’Agenzia delle Entrate ha escluso che fosse possibile applicare l’agevolazione per i lavoratori impatriati, dal momento che il reddito – seppur maturato in Italia – veniva incassato in un periodo d’imposta in cui il percettore non era più fiscalmente residente nel territorio dello Stato e non più beneficiario del regime.

Naturalmente, l’Agenzia delle Entrate nel risolvere la questione ha richiamato la Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia (i.e. Stato della fonte del reddito) e Grecia (i.e. Stato di residenza dei Contribuenti), che all’art. 15, con riferimento ai redditi da lavoro dipendente. prevede la tassazione concorrente tra i due Stati, quando l’attività lavorativa è stata svolta nello Stato della fonte dal contribuente non residente. A tal proposito, il Commentario OCSE, già richiamato nella precedente Risposta n. 316/2020, ha esplicitato che anche i redditi in natura – come le stock options – rientrano tra quelli imponibili nello Stato della fonte, a condizione che derivino da attività lavorativa prestata in tale Stato, indipendentemente dal momento in cui il reddito viene corrisposto.

Alla luce di tutto quanto sopra, dunque, anche in linea con i criteri OCSE, l’Agenzia delle Entrate conclude precisando che il collegamento con il territorio italiano ai fini del trattamento impositivo si considera sussistente se, nel periodo di maturazione (vesting period), il dipendente ha svolto attività lavorativa in Italia ma che, tuttavia, il regime impatriati non può essere applicato se il reddito è percepito quando il lavoratore non è più residente fiscale in Italia.

 

  • Domenico Sannicandro
  • Gise Genco
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